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Il Custode

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Con il primo motivo il ricorrente condominio denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riferimento all’art. 1132 c.c.” e afferma che erroneamente, il Tribunale prima e la Corte d’appello poi, avrebbero ritenuto che il dissenso sarebbe stato ritualmente notificato con l’espressione di voto contrario in sede di assemblea 28 giugno 1994.

Precisa il ricorrente che la M., oltre ad esternare il proprio dissenso in assemblea, per poter essere esonerata dalle conseguenze della delibera adottata, avrebbe dovuto comunicare all’amministratore, nelle forme di legge e nei tempi previsti a pena di decadenza, la propria intenzione di non voler subire le conseguenze della deliberazione presa.

Il motivo è infondato e non merita accoglimento.

Rileva la Corte che la questione di diritto da risolvere per decidere la controversia, con riferimento all’effettivo petitum, concerne la validità o meno della deliberazione dell’assemblea del condominio che pone a carico di un condòmino le spese di lite nonostante lo stesso dalla lite si sia dissociato.

Orbene nel caso esame la Corte d’appello, correttamente applicando l’insegnamento della Corte regolatrice, ha dichiarato la nullità della delibera adottata dall’assemblea condominiale del 20 marzo 1998, nella parte relativa alla determinazione della quota delle spese legali addebitata alla condomina M., ritenendo ritualmente manifestato il dissenso della resistente rispetto alla lite medesima deliberata dall’assemblea (v. Cass. 8 giugno 1996, n. 334); dissenso che contemperando l’interesse del gruppo con quello del singolo titolare di interessi contrastanti, riconosce a quest’ultimo il diritto di sottrarsi agli obblighi derivanti dalle deliberazioni assunte sul punto.

Con il secondo motivo il ricorrente condominio enuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), e insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), relativamente alla ritenuta ammissibilità dell’impugnazione della delibera e si duole che erroneamente il giudice del merito abbia ritenuto che la M., all’assemblea del 20 marzo 1998 abbia espresso il proprio dissenso, mentre tale circostanza non risulterebbe acclarata, il che comporterebbe per la resistente impedimento all’impugnazione della delibera.

Il ricorrente, inoltre, deduce che erroneamente la Corte territoriale, valutando una missiva inviata dall’amministratore T., lettera peraltro non confermata nel suo contenuto in sede testimoniale, abbia disatteso il verbale d’assemblea.

Il motivo è infondato e non merita accoglimento anche a prescindere dal difetto di specificità che lo colpisce, in quanto, a ben vedere le doglianze si rilevano inammissibili prima ancora che infondate, giacchè non vi si rinviene alcuna censura adeguatamente argomentata in diritto, mentre la censura relativa al difetto di motivazione si risolve nella semplice prospettazione di valutazioni personali della parte, su singole risultanze istruttorie, difforme da quella datane dal giudice a quo.

Orbene, esaminando il caso di specie, devesi rilevare come, anzi tutto, nelle deduzioni del ricorrente non risulti adeguatamente esplicitato quali sarebbero le norme violate o falsamente applicate, ond’è che risulta inidoneamente formulata, ai fini dell’accoglimento, la censura dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Ciò premesso la Corte territoriale ha ritenuto, sulla base delle emergenze istruttorie che risultasse adeguatamente provata la manifestazione di dissenso espresso dalla M. in sede di assemblea che, dopo averlo espresso, sussistendo un conflitto di interessi, si allontanò al momento delle votazioni delegando l’amministratore del condominio per il prosieguo dell’assemblea.

La decisione adottata appare, quindi, supportata da ragioni logiche ed esaurienti, coerente con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità.

A ben vedere, la censura appare colpire piuttosto la ricostruzione dei fatti, rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità, se esaurientemente e logicamente motivato, come nel caso in esame, piuttosto che l’iter formativo del convincimento del giudice con la conseguenza che il motivo in esame concretizza un’inammissibile istanza di revisione delle valutazione e dei convincimenti del giudice stesso.

Per quanto sin qui rilevato, i motivi esaminati non meritano accoglimento ed il ricorso va, quindi, rigettato.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
 

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