Ennio A. Rossi
Membro Junior
- Commercialista
Condominio e appalto: quale responsabilità per l’amministratore?
Cassazione civile , sez. III, sentenza 30.09.2014 n° 20557
Spesso, quando si tratta di lavori effettuati nel condominio, dai quali siano derivati eventi dannosi a terzi, i conflitti sfociano in cause di risarcimento danni in cui i Giudici sono chiamati a stabilire e a ripartire il grado di responsabilità tra la ditta appaltatrice, l’amministratore, il direttore dei lavori (che può coincidere con l’amministratore stesso) e l’assemblea condominiale che ha autorizzato i lavori e scelto, di norma, la ditta.
Quasi sempre, le contestazioni principali che vengono mosse all’amministratore attengono alla sua eventuale responsabilità a titolo di culpa in eligendo e in vigilando.
Come è noto, ai sensi dell ’art. 1655 c.c., “l'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.”
Attesa, dunque, l'autonomia con cui l’appaltatore svolge la sua attività nell'esecuzione dell'opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l'opera o il servizio cui si era obbligato D.Lgs. n. 81/2008, art. 26 co. 1 lett. a)
In pratica, l’amministratore, nella sua qualità di committente dei lavori, sarà responsabile di culpa in eligendo nel caso in cui affidi l’opera ad un’impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. (cfr. Cass. Civ. sent. 6 agosto 2004, n. 15185; 27 maggio 2011, n. 11757 e 15 novembre 2013, n. 25758).
Inoltre, quando l’appaltatore, in base ai patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale nudus minister attuandone specifiche direttive, e venga quindi privato dell’autonomia decisionale e di gestione dell’incarico, sarà il committente a dover rispondere degli eventi dannosi provocati a terzi.
In tale contesto, “una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, tanto che l'appaltatore finisca per agire quale nudus minister privo dell'autonomia che normalmente gli compete” (Cass. Civ. Sent. 23 marzo 1999, n. 2745; 20 aprile 2004, n. 7499; 2 marzo 2005, n. 4361 e 29 marzo 2007, n. 7755).
Nel caso in esame, in realtà, la responsabilità a titolo di culpa in eligendo nei confronti dell’amministratore era stata proposta per la prima volta in Cassazione e non nei precedenti gradi di giudizio.
In effetti, osservava la Suprema Corte, era stata prospettata una responsabilità a titolo di culpa in eligendo solo nei confronti del Condominio.
Ciò posto, atteso che in tale controversia si era accertato che era stato il Condominio stesso a decidere di affidare i lavori ad una determinata ditta, l’amministratore sarebbe comunque andato esente da responsabilità.
Infatti, in tale ipotesi, l'amministratore non aveva avuto alcuna autonomia decisionale né operativa e, in virtù del suo rapporto di mandato, era per legge tenuto a dare esecuzione alla decisioni assunte dai condòmini.
Pur in assenza di una delibera assembleare, come nel caso di specie, era stato verificato cheil Condominio, in presenza di pregresse infiltrazioni, aveva deciso di affidare ad una società, scelta dai condòmini stessi, i lavori senza discussione in assemblea e senza esame dei preventivi di altre imprese.
Ciò, pertanto, esonerava l’amministratore dalle responsabilità connesse, ad esempio, alla scelta della ditta, di cui non potrà rispondere, né civilmente né penalmente, proprio perché privo di potere decisionale e di autonomia operativa.
Anche in sede penale la giurisprudenza è addivenuta alla medesima conclusione; ha, infatti, osservato che “nel caso di appalto dei lavorideciso e assegnato mediante delibera dell'assemblea condominiale, ai fini della penale responsabilità dell'amministratore occorre verificare, nel singolo caso, l'ambito di autonomia di azione di cui eventualmente disponeva l'amministratore e i poteri decisionali concretamente attribuiti” (Cass. pen. Sez. III, 18/09/2013, n. 42347).
Nè, d'altra parte, la sentenza d’Appello impugnata individuava, a carico dell'amministratore, un qualche comportamento in contrasto col principio del neminem laedere come enucleato dalla menzionata giurisprudenza.
Come sopra anticipato, un’altra responsabilità in cui può incorrere l’amministratore di condominio, a seguito di lavori mal effettuati, viene ravvisata nella culpa in vigilando.
La Corte d’Appello di Roma, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva ritenuto responsabili in solido sia l’amministratore che il condominio.
In particolare, per quanto attiene alla posizione dell’amministratore, la Corte di merito aveva ritenuto sussistente una sua responsabilità per omissione; questi, infatti, che nel caso di specie rivestiva anche il ruolo di direttore dei lavori, aveva evidentemente omesso i necessari controlli.
In concreto, secondo quando statuito nella sentenza di secondo grado, l’amministratore aveva l'onere di accertarsi che l'appaltatore avesse adottato le obbligatorie misure di protezione.
Inoltre, nella sua qualità di datore di lavoro e direttore dei lavori, aveva conseguentemente assunto il compito di organizzare e dirigere i lavori per conto del condominio stesso, assumendo una posizione di garanzia.
Questo principio è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione (Cass. Pen. Sentenza n. 42347/2013), che ha ricordato appunto come "l'amministratore di un condominio assuma la posizione di garanzia propria del datore di lavoro nel caso in cui proceda direttamente all'organizzazione e direzione di lavori da eseguirsi nell'interesse del condominio stesso".
La posizione del committente è stata peraltro oggetto di ripetuto esame da parte della giurisprudenza penale di legittimità (in particolare nella materia degli infortuni sul lavoro) che ha espressamente riconosciuto la responsabilità di tale soggetto per l'inosservanza degli specifici obblighi positivi di verifica, informazione, cooperazione (cfr. Cass. Pen. Sez. 4^ n. 37840, 25 settembre 2009; Sez. 3^ n. 1825, 19 gennaio 2009; Sez. 4^ n. 41815, 7 novembre 2008) pur specificando che detta responsabilità non è di automatica applicazione, non potendosi esigere dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, mentre è necessario verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (così Sez. 4^ n. 3563, sentenza 30 gennaio 2012).
E’ pacifico che il direttore dei lavori, per conto del committente, presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire.
Il direttore dei lavori, in sostanza, assume la specifica funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell'appaltatore, vigilando che l'esecuzione dei lavori abbia luogo in conformità a quanto stabilito nel capitolato di appalto.
Conseguentemente non si sottrae a responsabilità ove ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonchè di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente (in tali sensi, tra le ultime, sentenza 28/11/2001 n. 15124). Il direttore dei lavori, quindi, deve "apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi" (sentenza 18/4/2002 n. 5632); ha "l'obbligo di vigilanza attiva su tutte le fasi esecutive dell'opera" (sentenza 21.11.2003 n. 2529) e "di segnalare all'appaltatore essendo preposto all'alta sorveglianza sull'esecuzione dell'opera le situazioni anomale e gli inconvenienti che si verificano in corso d'opera" (sentenza citata 5632/2002).
Da questo, tuttavia, la Suprema Corte ha più volte chiarito che non deriva a suo carico né una responsabilità per cattiva esecuzione dei lavori imputabile alla libera iniziativa dell'appaltatore, né, automaticamente, un obbligo continuo di vigilanza, (v. sentenze 20 luglio 2005, n. 15255, e 24 aprile 2008, n. 10728) non avendo egli alcun obbligo della sua continua presenza sul luogo del lavoro ovvero l'obbligo di sorveglianza delle operazioni da svolgersi.
Il comportamento del direttore dei lavori deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto".
La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, escluso che il potere di controllo sui beni comuni permanga in capo all’amministratore quando l'appaltatore sia posto in condizioni di "esclusivo custode delle cose sulle quali si effettuano i lavori". (Cass. Civ. sent. n. 25251/ 2008).
In conclusone, nel caso specifico, la Suprema Corte ha escluso una qualsivoglia responsabilità in capo all’amministratore in assenza di un qualche indice che facesse supporre che l'appaltatore era stato sottoposto dal committente a direttive così stringenti da sottrargli qualsiasi possibilità di autodeterminazione.
In conformità alla giurisprudenza in tema di appalto sopra ricordata, deve ribadirsi che l'appaltatore rimane esclusivo responsabile dell'esecuzione dei lavori, nonché dei relativi danni conseguenti a negligenza nell'esecuzione.
a cura drssa . Barbara Vizioli)
il testo della sentenza
/SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 7 luglio - 30 settembre 2014, n. 20557
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEGRETO Antonio - Presidente -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. CARLUCCIO Giuseppa - Consigliere -
Dott. CIRILLO Francesco Maria - rel. Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 2367/2011 proposto da:
A.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, 173, presso lo studio dell'avvocato MACCARONE SALVATORE, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROBERTO ALLEGRACI giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
ATHOS SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS), RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA' - RAS SPA, FALLIMENTO ERPA EDILIZIA RESTAURI PITTURE ARTISTICHE SRL, CONDOMINIO (OMISSIS) (OMISSIS), D. N.R.F.;
- intimati -
nonchè da:
ATHOS SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS), in persona del liquidatore pro tempore, G.B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA EMILIANI 27, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE CINTI, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- ricorrente incidentale -
contro
D.N.R.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOACCHINO GESMUNDO 4, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE ZUPO, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente all'incidentale -
contro
CONDOM (OMISSIS), A.I., FALL. E.R.P.A., RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA' SPA;
- intimati -
nonchè da:
CONDOMINIO DI (OMISSIS) (OMISSIS), in persona del suo amministratore e legale rappresentante pro tempore, geom. A. I., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 173, presso lo studio dell'avvocato SALVATORE MACCARONE che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROBERTO ALLEGRUCCI giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
ATHOS SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS), in persona del liquidatore pro tempore, G.B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA EMILIANI 27, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE CINTI, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
ALLIANZ SPA (già RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA' SPA) (OMISSIS), in persona del procuratore Dott.ssa G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell'avvocato GIORGIO SPADAFORA che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
D.N.R.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOACCHINO GESMUNDO 4, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE ZUPO, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrenti -
contro
FALL. E.R.P.A. SRL, A.I.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 2375/2010 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 01/06/2010 R.G.N. 1007/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l'Avvocato FRANCESCO MACCARONE per delega non scritta;
udito l'Avvocato GIUSEPPE ZUPO;
udito l'Avvocato PIETRO RESCIGNO;
udito l'Avvocato GIUSEPPE CINTI;
udito l'Avvocato GIORGIO SPADAFORA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l'inammissibilità' del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
1. D.N.R.F. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Condominio di Palazzo (OMISSIS), l'amministratore dello stesso A.I. in proprio, nonchè la Athos s.r.l. e la ERPA s.r.l., chiedendo che fossero condannati al risarcimento dei danni patiti, nell'unità immobiliare di sua proprietà, a causa della cattiva esecuzione di opere di bonifica e di impermeabilizzazione del tetto del Palazzo; lamentò, in particolare, che, a seguito della fortissima pioggia caduta su (OMISSIS) il (OMISSIS), erano stati gravemente danneggiati i preziosi manoscritti e le filze costituenti l'archivio storico della biblioteca A..
Si costituirono in giudizio tutti i convenuti e la società ERPA chiese di poter chiamare in manleva la s.p.a. RAS, la quale pure si costituì.
Il Tribunale, in accoglimento parziale della domanda, condannò la sola società ERPA, che aveva svolto i lavori di restauro del tetto, al pagamento della somma di lire 504 milioni, mentre rigettò la richiesta di condanna nei confronti dell' A. e del Condominio;
condannò poi la RAS s.p.a. a rimborsare alla ERPA la somma complessiva di L. 75 milioni.
2. La sentenza è stata appellata dal D.N.R. e la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 1 giugno 2010, in parziale riforma di quella di primo grado, ha condannato la società ERPA, il Condominio (con esclusione dell'appellante) e A.I., in solido fra loro, al pagamento del danno liquidato nella complessiva maggiore somma di Euro 452.500, nonchè al pagamento delle spese del doppio grado; ha invece respinto la domanda nei confronti della Athos s.r.l., condannando l'appellante al pagamento delle spese nei confronti della medesima.
Ha osservato la Corte territoriale che doveva ritenersi pacifica la riconducibilità del sinistro alla mancata idonea copertura del Palazzo durante i lavori di posa in opera del manto impermeabilizzante al di sotto dei coppi del tetto.
Quanto al riparto delle colpe, la Corte ha affermato che andava condivisa la prospettazione dell'attore secondo cui la responsabilità in capo al Condominio ed all'amministratore era da ricondurre sia a culpa in vigilando che a culpa in eligendo.
Il Condominio, infatti, in presenza di pregresse infiltrazioni, aveva deciso di affidare i lavori senza discussione in assemblea e senza esame dei preventivi di altre imprese, elemento di per sè grave in quanto si trattava di lavori su un immobile di particolare valore storico e culturale.
La società ERPA, d'altra parte, aveva presentato un preventivo estremamente generico, privo delle indicazioni delle necessarie misure di sicurezza, il che confermava l'omessa cura, da parte del committente, nella scelta dell'impresa appaltatrice. Il Condominio, quindi, era da ritenere responsabile, in concorso con l'appaltatore, per culpa in eligendo in relazione alla scelta dell'impresa affidataria dei lavori; e ciò comportava l'esclusione della responsabilità della società Athos, che era parte del Condominio.
A sua volta l'amministratore A., che rivestiva nella specie anche il ruolo di direttore dei lavori, era responsabile per culpa in vigilando, avendo evidentemente omesso i necessari controlli.
L' A., infatti, aveva l'onere di accertarsi che l'appaltatore avesse adottato le obbligatorie misure di protezione, onere "ancora più pregnante" in considerazione di altri eventi dannosi determinatisi a carico della proprietà della società Athos, sempre per scarsa impermeabilità del tetto.
3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Roma propongono ricorso principale A.I. ed il Condominio di Palazzo (OMISSIS), con separati ma identici atti, affidati a tre motivi.
Resistono, con separati controricorsi, D.N.R. F., la s.p.a. Allianz (già RAS) e la s.r.l. Athos in liquidazione; quest'ultima con atto contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo.
D.N.R.F. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale della società Athos.
In prossimità dell'udienza hanno depositato memorie la s.p.a.
Allianz nonchè Di.Na.Ra.Fe., T., L. e V., questi ultimi costituitisi in qualità di eredi del defunto D.N.R.F..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo dei due ricorsi si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), erronea qualificazione della fattispecie e violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c..
Rilevano i ricorrenti che la domanda risarcitoria è stata avanzata in primo grado, sia nei confronti del Condominio che dell'amministratore, deducendo, ai sensi dell'art. 2043 c.c., la mancata vigilanza nell'esecuzione dei lavori effettuati sul tetto di Palazzo (OMISSIS). Il titolo, quindi, era quello della responsabilità omissiva per culpa in vigilando; da tanto conseguirebbe che la domanda di risarcimento fondata sulla culpa in eligendo sarebbe nuova, in quanto proposta in grado di appello; come pure nuova dovrebbe ritenersi la domanda di cui all'art. 2051 cod. civ., fondata su un obbligo di custodia mai fatto valere in primo grado.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. La censura posta dai ricorrenti impone alla Corte l'esame degli atti processuali, dovendosi ritenere come una censura di error in procedendo, ancorchè non formalmente contestata ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (Sezioni Unite, 24 luglio 2013, n. 17931).
Risulta effettivamente dalla lettura dell'atto di citazione (in particolare, il punto 27) che la domanda originariamente posta da D. N.R.F. era fondata sulla prospettazione, sia a carico del Condominio che dell'amministratore e direttore dei lavori A., di una culpa in vigilando. Si legge nell'atto introduttivo del giudizio che il Condominio aveva "autorizzato i relativi lavori mancando poi di seguirli nonostante il periodo di intense piogge";
mentre l'amministratore era ritenuto responsabile per essere "venuto meno ai suoi doveri di vigilanza, onde evitare che dall'esecuzione delle opere derivassero danni agli immobili".
Non sussiste dubbio alcuno, pertanto, su quale fosse, nello specifico, il titolo della responsabilità invocato.
Nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, l'attore, dopo aver riepilogato la vicenda, ha ribadito la domanda originaria pressochè negli stessi termini, prospettando espressamente il titolo della culpa in eligendo soltanto a carico del condòmino società Athos, "nella sua qualità di committente dei lavori".
1.3. La sentenza impugnata, nel dare conto dei successivi passaggi, ha ritenuto di poter superare il profilo della novità della domanda, sul rilievo che l'appellante, ossia il D.N.R., aveva "ravvisato il titolo della imputata responsabilità nella mancanza di diligenza nella scelta dell'appaltatore nonchè nella omessa sorveglianza da parte del Condominio e dell'amministratore". Ma tale affermazione non trova riscontro negli atti; e, d'altra parte, la stessa Corte d'appello ha dato conto del fatto che gli appellati Condominio e A. avevano eccepito la tardività della domanda ai sensi dell'art. 2051 c.c., "perchè non specificamente avanzata in primo grado", ed avevano dichiarato di non accettare il contraddittorio sulle domande proposte in base a titoli di danno "indicati solo in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, reiterate in questa sede".
Ora, il punto della novità della domanda di cui all'art. 2051 c.c., non necessita di essere affrontato, perchè la Corte d'appello non si è avvalsa di quella norma per affermare la responsabilità del Condominio e dell' A., ed ha anzi espressamente affermato di valutare le colpe sulla base del solo art. 2043 c.c., (v. p. 6 della sentenza); ma la censura coglie ugualmente nel segno laddove pone in risalto la mancanza del titolo della culpa in eligendo, senza che abbia alcun rilievo il punto della mancata accettazione del contraddittorio, poichè la giurisprudenza di questa Corte è da tempo ferma nel sostenere che l'inammissibilità di domande nuove ai sensi dell'art. 345 c.p.c., è posta a tutela di un interesse di natura pubblicistica (v., tra le altre, le sentenze 11 gennaio 2007, n. 383, e 24 novembre 2008, n. 27890).
1.4. La difesa degli eredi D.N.R. ha insistito, nella memoria di udienza, sul connotato della atipicità dei fatti costitutivi della responsabilità aquiliana e dei presupposti per il suo fondamento.
Tuttavia è indubbio, ad avviso della Corte, che nel caso di specie la diversità del titolo della colpa si sia tradotta necessariamente nella diversità dei fatti posti a fondamento della domanda e, di conseguenza, nella diversità della prova a discarico che gli interessati erano chiamati a fornire; sicchè le osservazioni di cui alla citata memoria non sono decisive ed il primo motivo deve essere ugualmente accolto.
2. L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento del secondo, col quale si lamenta che, secondo le regole in tema di onere della prova, doveva essere il D.N.R. a provare che l'offerta presentata dalla società ERPA era stata l'unica, cosa che non era stata dimostrata; le opere eseguite, poi, non richiedevano alcuna particolare specializzazione in capo all'impresa appaltatrice, perchè si trattava della semplice copertura di una modesta area del tetto del Palazzo.
3. Con il terzo motivo dei due ricorsi si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Osservano i ricorrenti che la sentenza, per riconoscere la sussistenza di una responsabilità in capo all'amministratore ed al Condominio, non avrebbe adeguatamente valutato che l'unica accertata causa dei danni era costituita dalla incuria e dagli errori compiuti dai dipendenti della società ERPA. Tale valutazione darebbe ragione, poi, dell'assenza di ogni culpa in vigilando da parte di entrambi i ricorrenti, perchè i danni erano derivati dalle infiltrazioni di acqua conseguenti alla scopertura del tetto.
3.1. Si osserva, innanzitutto, che la censura contenuta nel motivo in esame, ancorchè formulata in termini di vizio di motivazione, contiene al proprio interno un evidente profilo di violazione di legge, in particolare per quanto riguarda il richiamo alla giurisprudenza relativa alla responsabilità dell'appaltatore e del committente.
3.2. Tanto premesso, il Collegio rileva che il motivo è fondato.
Costituisce pacifica giurisprudenza di questa Corte l'affermazione secondo cui in tema di appalto, è di regola l'appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell'inosservanza della legge penale durante l'esecuzione del contratto, attesa l'autonomia con cui egli svolge la sua attività nell'esecuzione dell'opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l'opera o il servizio cui si era obbligato. Il controllo e la sorveglianza del committente, invece, si limitano all'accertamento e alla verifica della corrispondenza dell'opera o del servizio affidato all'appaltatore con quanto costituisce l'oggetto del contratto. In tale contesto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, tanto che l'appaltatore finisca per agire quale nudus minister privo dell'autonomia che normalmente gli compete (sentenze 23 marzo 1999, n. 2745, 20 aprile 2004, n. 7499, 2 marzo 2005, n. 4361, e 29 marzo 2007, n. 7755). E' stata poi riconosciuta una responsabilità del committente anche quando sia configurabile in capo al medesimo una culpa in eligendo, per aver affidato il lavoro ad un'impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. (sentenze 6 agosto 2004, n. 15185, e 27 maggio 2011, n. 11757, e 15 novembre 2013, n. 25758).
3.3. Nel caso specifico, la Corte romana ha ravvisato a carico del Condominio una culpa in eligendo, in relazione alla quale vale quanto si è detto in accoglimento del primo motivo; e una culpa in vigilando a carico dell' A., nella sua qualità di amministratore del Condominio e di direttore dei lavori.
Ora, la motivazione contenuta in sentenza circa la responsabilità dell' A. considera la sua duplice veste di amministratore e di direttore dei lavori. L'amministratore, però, non costituisce un'entità diversa dal condominio del quale è rappresentante, perchè il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica diversa da quella dei singoli condòmini (ordinanza 11 gennaio 2012, n. 177). Ciò significa che il condòmino che ritenga di essere stato danneggiato, come nella specie, da un'omessa vigilanza da parte del condominio nell'esecuzione di lavori sulle parti comuni non può considerare l'amministratore come un soggetto terzo ed estraneo; dovrà comunque rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti del condominio il quale, a sua volta, valuterà se esistono gli estremi di una rivalsa nei confronti dell'amministratore. Del resto, anche la sentenza 16 ottobre 2008, n. 25251, di questa Terza Sezione, che pure ha riconosciuto una sorta di responsabilità allargata in capo all'amministratore di condominio, ha tuttavia escluso che il potere di controllo sui beni comuni permanga quando l'appaltatore sia posto in condizioni di "esclusivo custode delle cose sulle quali si effettuano i lavori".
Nè può pervenirsi a differenti conclusioni in considerazione del ruolo di direttore dei lavori affidato all' A.. Il direttore dei lavori per conto del committente, infatti, presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della diligentia quam in concreto; rientrano pertanto nelle obbligazioni del direttore dei lavori l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonchè l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi (v. sentenze 20 luglio 2005, n. 15255, e 24 aprile 2008, n. 10728). Il direttore dei lavori, in sostanza, assume la specifica funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell'appaltatore, vigilando che l'esecuzione dei lavori abbia luogo in conformità a quanto stabilito nel capitolato di appalto. Da questo, tuttavia, non deriva a suo carico nè una responsabilità per cattiva esecuzione dei lavori imputabile alla libera iniziativa dell'appaltatore, nè un obbligo continuo di vigilanza anche in relazione a profili - tutto sommato marginali - come quello della copertura con teloni di plastica durante i lavori di scopertura e successiva ricostruzione del tetto. E' fuori discussione, del resto, che questa sia stata, nella realtà, l'esclusiva causa del danno lamentato dall'originario attore.
In altre parole, in assenza di un qualche indice che faccia supporre che l'appaltatore sia stato sottoposto dal committente a direttive così stringenti da sottrargli qualsiasi possibilità di autodeterminazione, in conformità alla giurisprudenza in tema di appalto sopra ricordata deve ribadirsi che l'appaltatore rimane esclusivo responsabile dell'esecuzione dei lavori, nonchè dei relativi danni conseguenti a negligenza nell'esecuzione. Nè, d'altra parte, la sentenza impugnata individua, a carico dell' A., un qualche comportamento in contrasto col principio del neminem laedere come enucleato dalla menzionata giurisprudenza.
Sicchè, in definitiva, vanno escluse la responsabilità sia del Condominio che dell'amministratore A., oggi ricorrenti.
3.4. Da tanto deriva l'accoglimento anche del terzo motivo di ricorso.
4. La società Athos pone un motivo di ricorso incidentale - peraltro definito appello incidentale - sostenendo che la sentenza avrebbe errato nel riconoscere la responsabilità anche del Condominio; e precisa di avere interesse all'impugnazione nella qualità di condòmino di Palazzo (OMISSIS).
4.1. La Corte osserva che il ricorso è inammissibile per evidente carenza di interesse; la società Athos, infatti, risulta completamente vincitrice in appello, poichè la sentenza impugnata ha riconosciuto che il committente dei lavori era il Condominio; nè l'accoglimento dei motivi del ricorso principale modifica alcunchè in ordine alla posizione del ricorrente incidentale.
5. In conclusione, sono accolti il primo ed il terzo motivo dei ricorsi del Condominio e dell' A., con assorbimento del secondo, mentre è dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata è cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, rigettando l'appello proposto dal D.N.R. limitatamente al Condominio ed all' A.; mentre la sentenza impugnata va confermata nel resto.
Le spese del giudizio di appello vanno compensate, in relazione ai rapporti tra gli eredi D.N.R., il Condominio e l' A.
Quanto al giudizio di cassazione, in considerazione della soccombenza, gli eredi D.N.R. vanno condannati al pagamento delle medesime nei confronti di ciascuno dei ricorrenti;
mentre vanno compensate le spese tra i ricorrenti, la s.p.a. Allianz e la s.r.l. Athos in liquidazione.
La liquidazione segue in conformità ai soli parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il primo ed il terzo motivo di entrambi i ricorsi, con assorbimento del secondo;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'appello proposto dal D.N.R. limitatamente al Condominio ed all' A.; conferma nel resto; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di appello tra appellante, Condominio e A.; condanna i controricorrenti D.N.R. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200 per ciascuno dei ricorrenti, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge; compensa le spese del giudizio di cassazione in relazione alla s.p.a. Allianz e alla s.r.l. Athos in liquidazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2014
Cassazione civile , sez. III, sentenza 30.09.2014 n° 20557
Spesso, quando si tratta di lavori effettuati nel condominio, dai quali siano derivati eventi dannosi a terzi, i conflitti sfociano in cause di risarcimento danni in cui i Giudici sono chiamati a stabilire e a ripartire il grado di responsabilità tra la ditta appaltatrice, l’amministratore, il direttore dei lavori (che può coincidere con l’amministratore stesso) e l’assemblea condominiale che ha autorizzato i lavori e scelto, di norma, la ditta.
Quasi sempre, le contestazioni principali che vengono mosse all’amministratore attengono alla sua eventuale responsabilità a titolo di culpa in eligendo e in vigilando.
Come è noto, ai sensi dell ’art. 1655 c.c., “l'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.”
Attesa, dunque, l'autonomia con cui l’appaltatore svolge la sua attività nell'esecuzione dell'opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l'opera o il servizio cui si era obbligato D.Lgs. n. 81/2008, art. 26 co. 1 lett. a)
In pratica, l’amministratore, nella sua qualità di committente dei lavori, sarà responsabile di culpa in eligendo nel caso in cui affidi l’opera ad un’impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. (cfr. Cass. Civ. sent. 6 agosto 2004, n. 15185; 27 maggio 2011, n. 11757 e 15 novembre 2013, n. 25758).
Inoltre, quando l’appaltatore, in base ai patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale nudus minister attuandone specifiche direttive, e venga quindi privato dell’autonomia decisionale e di gestione dell’incarico, sarà il committente a dover rispondere degli eventi dannosi provocati a terzi.
In tale contesto, “una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, tanto che l'appaltatore finisca per agire quale nudus minister privo dell'autonomia che normalmente gli compete” (Cass. Civ. Sent. 23 marzo 1999, n. 2745; 20 aprile 2004, n. 7499; 2 marzo 2005, n. 4361 e 29 marzo 2007, n. 7755).
Nel caso in esame, in realtà, la responsabilità a titolo di culpa in eligendo nei confronti dell’amministratore era stata proposta per la prima volta in Cassazione e non nei precedenti gradi di giudizio.
In effetti, osservava la Suprema Corte, era stata prospettata una responsabilità a titolo di culpa in eligendo solo nei confronti del Condominio.
Ciò posto, atteso che in tale controversia si era accertato che era stato il Condominio stesso a decidere di affidare i lavori ad una determinata ditta, l’amministratore sarebbe comunque andato esente da responsabilità.
Infatti, in tale ipotesi, l'amministratore non aveva avuto alcuna autonomia decisionale né operativa e, in virtù del suo rapporto di mandato, era per legge tenuto a dare esecuzione alla decisioni assunte dai condòmini.
Pur in assenza di una delibera assembleare, come nel caso di specie, era stato verificato cheil Condominio, in presenza di pregresse infiltrazioni, aveva deciso di affidare ad una società, scelta dai condòmini stessi, i lavori senza discussione in assemblea e senza esame dei preventivi di altre imprese.
Ciò, pertanto, esonerava l’amministratore dalle responsabilità connesse, ad esempio, alla scelta della ditta, di cui non potrà rispondere, né civilmente né penalmente, proprio perché privo di potere decisionale e di autonomia operativa.
Anche in sede penale la giurisprudenza è addivenuta alla medesima conclusione; ha, infatti, osservato che “nel caso di appalto dei lavorideciso e assegnato mediante delibera dell'assemblea condominiale, ai fini della penale responsabilità dell'amministratore occorre verificare, nel singolo caso, l'ambito di autonomia di azione di cui eventualmente disponeva l'amministratore e i poteri decisionali concretamente attribuiti” (Cass. pen. Sez. III, 18/09/2013, n. 42347).
Nè, d'altra parte, la sentenza d’Appello impugnata individuava, a carico dell'amministratore, un qualche comportamento in contrasto col principio del neminem laedere come enucleato dalla menzionata giurisprudenza.
Come sopra anticipato, un’altra responsabilità in cui può incorrere l’amministratore di condominio, a seguito di lavori mal effettuati, viene ravvisata nella culpa in vigilando.
La Corte d’Appello di Roma, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva ritenuto responsabili in solido sia l’amministratore che il condominio.
In particolare, per quanto attiene alla posizione dell’amministratore, la Corte di merito aveva ritenuto sussistente una sua responsabilità per omissione; questi, infatti, che nel caso di specie rivestiva anche il ruolo di direttore dei lavori, aveva evidentemente omesso i necessari controlli.
In concreto, secondo quando statuito nella sentenza di secondo grado, l’amministratore aveva l'onere di accertarsi che l'appaltatore avesse adottato le obbligatorie misure di protezione.
Inoltre, nella sua qualità di datore di lavoro e direttore dei lavori, aveva conseguentemente assunto il compito di organizzare e dirigere i lavori per conto del condominio stesso, assumendo una posizione di garanzia.
Questo principio è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione (Cass. Pen. Sentenza n. 42347/2013), che ha ricordato appunto come "l'amministratore di un condominio assuma la posizione di garanzia propria del datore di lavoro nel caso in cui proceda direttamente all'organizzazione e direzione di lavori da eseguirsi nell'interesse del condominio stesso".
La posizione del committente è stata peraltro oggetto di ripetuto esame da parte della giurisprudenza penale di legittimità (in particolare nella materia degli infortuni sul lavoro) che ha espressamente riconosciuto la responsabilità di tale soggetto per l'inosservanza degli specifici obblighi positivi di verifica, informazione, cooperazione (cfr. Cass. Pen. Sez. 4^ n. 37840, 25 settembre 2009; Sez. 3^ n. 1825, 19 gennaio 2009; Sez. 4^ n. 41815, 7 novembre 2008) pur specificando che detta responsabilità non è di automatica applicazione, non potendosi esigere dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, mentre è necessario verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (così Sez. 4^ n. 3563, sentenza 30 gennaio 2012).
E’ pacifico che il direttore dei lavori, per conto del committente, presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire.
Il direttore dei lavori, in sostanza, assume la specifica funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell'appaltatore, vigilando che l'esecuzione dei lavori abbia luogo in conformità a quanto stabilito nel capitolato di appalto.
Conseguentemente non si sottrae a responsabilità ove ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonchè di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente (in tali sensi, tra le ultime, sentenza 28/11/2001 n. 15124). Il direttore dei lavori, quindi, deve "apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi" (sentenza 18/4/2002 n. 5632); ha "l'obbligo di vigilanza attiva su tutte le fasi esecutive dell'opera" (sentenza 21.11.2003 n. 2529) e "di segnalare all'appaltatore essendo preposto all'alta sorveglianza sull'esecuzione dell'opera le situazioni anomale e gli inconvenienti che si verificano in corso d'opera" (sentenza citata 5632/2002).
Da questo, tuttavia, la Suprema Corte ha più volte chiarito che non deriva a suo carico né una responsabilità per cattiva esecuzione dei lavori imputabile alla libera iniziativa dell'appaltatore, né, automaticamente, un obbligo continuo di vigilanza, (v. sentenze 20 luglio 2005, n. 15255, e 24 aprile 2008, n. 10728) non avendo egli alcun obbligo della sua continua presenza sul luogo del lavoro ovvero l'obbligo di sorveglianza delle operazioni da svolgersi.
Il comportamento del direttore dei lavori deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto".
La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, escluso che il potere di controllo sui beni comuni permanga in capo all’amministratore quando l'appaltatore sia posto in condizioni di "esclusivo custode delle cose sulle quali si effettuano i lavori". (Cass. Civ. sent. n. 25251/ 2008).
In conclusone, nel caso specifico, la Suprema Corte ha escluso una qualsivoglia responsabilità in capo all’amministratore in assenza di un qualche indice che facesse supporre che l'appaltatore era stato sottoposto dal committente a direttive così stringenti da sottrargli qualsiasi possibilità di autodeterminazione.
In conformità alla giurisprudenza in tema di appalto sopra ricordata, deve ribadirsi che l'appaltatore rimane esclusivo responsabile dell'esecuzione dei lavori, nonché dei relativi danni conseguenti a negligenza nell'esecuzione.
a cura drssa . Barbara Vizioli)
il testo della sentenza
/SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 7 luglio - 30 settembre 2014, n. 20557
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEGRETO Antonio - Presidente -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. CARLUCCIO Giuseppa - Consigliere -
Dott. CIRILLO Francesco Maria - rel. Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 2367/2011 proposto da:
A.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, 173, presso lo studio dell'avvocato MACCARONE SALVATORE, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROBERTO ALLEGRACI giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
ATHOS SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS), RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA' - RAS SPA, FALLIMENTO ERPA EDILIZIA RESTAURI PITTURE ARTISTICHE SRL, CONDOMINIO (OMISSIS) (OMISSIS), D. N.R.F.;
- intimati -
nonchè da:
ATHOS SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS), in persona del liquidatore pro tempore, G.B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA EMILIANI 27, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE CINTI, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- ricorrente incidentale -
contro
D.N.R.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOACCHINO GESMUNDO 4, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE ZUPO, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente all'incidentale -
contro
CONDOM (OMISSIS), A.I., FALL. E.R.P.A., RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA' SPA;
- intimati -
nonchè da:
CONDOMINIO DI (OMISSIS) (OMISSIS), in persona del suo amministratore e legale rappresentante pro tempore, geom. A. I., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 173, presso lo studio dell'avvocato SALVATORE MACCARONE che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROBERTO ALLEGRUCCI giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
ATHOS SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS), in persona del liquidatore pro tempore, G.B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA EMILIANI 27, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE CINTI, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
ALLIANZ SPA (già RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA' SPA) (OMISSIS), in persona del procuratore Dott.ssa G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell'avvocato GIORGIO SPADAFORA che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
D.N.R.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOACCHINO GESMUNDO 4, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE ZUPO, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrenti -
contro
FALL. E.R.P.A. SRL, A.I.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 2375/2010 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 01/06/2010 R.G.N. 1007/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l'Avvocato FRANCESCO MACCARONE per delega non scritta;
udito l'Avvocato GIUSEPPE ZUPO;
udito l'Avvocato PIETRO RESCIGNO;
udito l'Avvocato GIUSEPPE CINTI;
udito l'Avvocato GIORGIO SPADAFORA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l'inammissibilità' del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
1. D.N.R.F. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Condominio di Palazzo (OMISSIS), l'amministratore dello stesso A.I. in proprio, nonchè la Athos s.r.l. e la ERPA s.r.l., chiedendo che fossero condannati al risarcimento dei danni patiti, nell'unità immobiliare di sua proprietà, a causa della cattiva esecuzione di opere di bonifica e di impermeabilizzazione del tetto del Palazzo; lamentò, in particolare, che, a seguito della fortissima pioggia caduta su (OMISSIS) il (OMISSIS), erano stati gravemente danneggiati i preziosi manoscritti e le filze costituenti l'archivio storico della biblioteca A..
Si costituirono in giudizio tutti i convenuti e la società ERPA chiese di poter chiamare in manleva la s.p.a. RAS, la quale pure si costituì.
Il Tribunale, in accoglimento parziale della domanda, condannò la sola società ERPA, che aveva svolto i lavori di restauro del tetto, al pagamento della somma di lire 504 milioni, mentre rigettò la richiesta di condanna nei confronti dell' A. e del Condominio;
condannò poi la RAS s.p.a. a rimborsare alla ERPA la somma complessiva di L. 75 milioni.
2. La sentenza è stata appellata dal D.N.R. e la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 1 giugno 2010, in parziale riforma di quella di primo grado, ha condannato la società ERPA, il Condominio (con esclusione dell'appellante) e A.I., in solido fra loro, al pagamento del danno liquidato nella complessiva maggiore somma di Euro 452.500, nonchè al pagamento delle spese del doppio grado; ha invece respinto la domanda nei confronti della Athos s.r.l., condannando l'appellante al pagamento delle spese nei confronti della medesima.
Ha osservato la Corte territoriale che doveva ritenersi pacifica la riconducibilità del sinistro alla mancata idonea copertura del Palazzo durante i lavori di posa in opera del manto impermeabilizzante al di sotto dei coppi del tetto.
Quanto al riparto delle colpe, la Corte ha affermato che andava condivisa la prospettazione dell'attore secondo cui la responsabilità in capo al Condominio ed all'amministratore era da ricondurre sia a culpa in vigilando che a culpa in eligendo.
Il Condominio, infatti, in presenza di pregresse infiltrazioni, aveva deciso di affidare i lavori senza discussione in assemblea e senza esame dei preventivi di altre imprese, elemento di per sè grave in quanto si trattava di lavori su un immobile di particolare valore storico e culturale.
La società ERPA, d'altra parte, aveva presentato un preventivo estremamente generico, privo delle indicazioni delle necessarie misure di sicurezza, il che confermava l'omessa cura, da parte del committente, nella scelta dell'impresa appaltatrice. Il Condominio, quindi, era da ritenere responsabile, in concorso con l'appaltatore, per culpa in eligendo in relazione alla scelta dell'impresa affidataria dei lavori; e ciò comportava l'esclusione della responsabilità della società Athos, che era parte del Condominio.
A sua volta l'amministratore A., che rivestiva nella specie anche il ruolo di direttore dei lavori, era responsabile per culpa in vigilando, avendo evidentemente omesso i necessari controlli.
L' A., infatti, aveva l'onere di accertarsi che l'appaltatore avesse adottato le obbligatorie misure di protezione, onere "ancora più pregnante" in considerazione di altri eventi dannosi determinatisi a carico della proprietà della società Athos, sempre per scarsa impermeabilità del tetto.
3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Roma propongono ricorso principale A.I. ed il Condominio di Palazzo (OMISSIS), con separati ma identici atti, affidati a tre motivi.
Resistono, con separati controricorsi, D.N.R. F., la s.p.a. Allianz (già RAS) e la s.r.l. Athos in liquidazione; quest'ultima con atto contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo.
D.N.R.F. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale della società Athos.
In prossimità dell'udienza hanno depositato memorie la s.p.a.
Allianz nonchè Di.Na.Ra.Fe., T., L. e V., questi ultimi costituitisi in qualità di eredi del defunto D.N.R.F..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo dei due ricorsi si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), erronea qualificazione della fattispecie e violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c..
Rilevano i ricorrenti che la domanda risarcitoria è stata avanzata in primo grado, sia nei confronti del Condominio che dell'amministratore, deducendo, ai sensi dell'art. 2043 c.c., la mancata vigilanza nell'esecuzione dei lavori effettuati sul tetto di Palazzo (OMISSIS). Il titolo, quindi, era quello della responsabilità omissiva per culpa in vigilando; da tanto conseguirebbe che la domanda di risarcimento fondata sulla culpa in eligendo sarebbe nuova, in quanto proposta in grado di appello; come pure nuova dovrebbe ritenersi la domanda di cui all'art. 2051 cod. civ., fondata su un obbligo di custodia mai fatto valere in primo grado.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. La censura posta dai ricorrenti impone alla Corte l'esame degli atti processuali, dovendosi ritenere come una censura di error in procedendo, ancorchè non formalmente contestata ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (Sezioni Unite, 24 luglio 2013, n. 17931).
Risulta effettivamente dalla lettura dell'atto di citazione (in particolare, il punto 27) che la domanda originariamente posta da D. N.R.F. era fondata sulla prospettazione, sia a carico del Condominio che dell'amministratore e direttore dei lavori A., di una culpa in vigilando. Si legge nell'atto introduttivo del giudizio che il Condominio aveva "autorizzato i relativi lavori mancando poi di seguirli nonostante il periodo di intense piogge";
mentre l'amministratore era ritenuto responsabile per essere "venuto meno ai suoi doveri di vigilanza, onde evitare che dall'esecuzione delle opere derivassero danni agli immobili".
Non sussiste dubbio alcuno, pertanto, su quale fosse, nello specifico, il titolo della responsabilità invocato.
Nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, l'attore, dopo aver riepilogato la vicenda, ha ribadito la domanda originaria pressochè negli stessi termini, prospettando espressamente il titolo della culpa in eligendo soltanto a carico del condòmino società Athos, "nella sua qualità di committente dei lavori".
1.3. La sentenza impugnata, nel dare conto dei successivi passaggi, ha ritenuto di poter superare il profilo della novità della domanda, sul rilievo che l'appellante, ossia il D.N.R., aveva "ravvisato il titolo della imputata responsabilità nella mancanza di diligenza nella scelta dell'appaltatore nonchè nella omessa sorveglianza da parte del Condominio e dell'amministratore". Ma tale affermazione non trova riscontro negli atti; e, d'altra parte, la stessa Corte d'appello ha dato conto del fatto che gli appellati Condominio e A. avevano eccepito la tardività della domanda ai sensi dell'art. 2051 c.c., "perchè non specificamente avanzata in primo grado", ed avevano dichiarato di non accettare il contraddittorio sulle domande proposte in base a titoli di danno "indicati solo in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, reiterate in questa sede".
Ora, il punto della novità della domanda di cui all'art. 2051 c.c., non necessita di essere affrontato, perchè la Corte d'appello non si è avvalsa di quella norma per affermare la responsabilità del Condominio e dell' A., ed ha anzi espressamente affermato di valutare le colpe sulla base del solo art. 2043 c.c., (v. p. 6 della sentenza); ma la censura coglie ugualmente nel segno laddove pone in risalto la mancanza del titolo della culpa in eligendo, senza che abbia alcun rilievo il punto della mancata accettazione del contraddittorio, poichè la giurisprudenza di questa Corte è da tempo ferma nel sostenere che l'inammissibilità di domande nuove ai sensi dell'art. 345 c.p.c., è posta a tutela di un interesse di natura pubblicistica (v., tra le altre, le sentenze 11 gennaio 2007, n. 383, e 24 novembre 2008, n. 27890).
1.4. La difesa degli eredi D.N.R. ha insistito, nella memoria di udienza, sul connotato della atipicità dei fatti costitutivi della responsabilità aquiliana e dei presupposti per il suo fondamento.
Tuttavia è indubbio, ad avviso della Corte, che nel caso di specie la diversità del titolo della colpa si sia tradotta necessariamente nella diversità dei fatti posti a fondamento della domanda e, di conseguenza, nella diversità della prova a discarico che gli interessati erano chiamati a fornire; sicchè le osservazioni di cui alla citata memoria non sono decisive ed il primo motivo deve essere ugualmente accolto.
2. L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento del secondo, col quale si lamenta che, secondo le regole in tema di onere della prova, doveva essere il D.N.R. a provare che l'offerta presentata dalla società ERPA era stata l'unica, cosa che non era stata dimostrata; le opere eseguite, poi, non richiedevano alcuna particolare specializzazione in capo all'impresa appaltatrice, perchè si trattava della semplice copertura di una modesta area del tetto del Palazzo.
3. Con il terzo motivo dei due ricorsi si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Osservano i ricorrenti che la sentenza, per riconoscere la sussistenza di una responsabilità in capo all'amministratore ed al Condominio, non avrebbe adeguatamente valutato che l'unica accertata causa dei danni era costituita dalla incuria e dagli errori compiuti dai dipendenti della società ERPA. Tale valutazione darebbe ragione, poi, dell'assenza di ogni culpa in vigilando da parte di entrambi i ricorrenti, perchè i danni erano derivati dalle infiltrazioni di acqua conseguenti alla scopertura del tetto.
3.1. Si osserva, innanzitutto, che la censura contenuta nel motivo in esame, ancorchè formulata in termini di vizio di motivazione, contiene al proprio interno un evidente profilo di violazione di legge, in particolare per quanto riguarda il richiamo alla giurisprudenza relativa alla responsabilità dell'appaltatore e del committente.
3.2. Tanto premesso, il Collegio rileva che il motivo è fondato.
Costituisce pacifica giurisprudenza di questa Corte l'affermazione secondo cui in tema di appalto, è di regola l'appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell'inosservanza della legge penale durante l'esecuzione del contratto, attesa l'autonomia con cui egli svolge la sua attività nell'esecuzione dell'opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l'opera o il servizio cui si era obbligato. Il controllo e la sorveglianza del committente, invece, si limitano all'accertamento e alla verifica della corrispondenza dell'opera o del servizio affidato all'appaltatore con quanto costituisce l'oggetto del contratto. In tale contesto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, tanto che l'appaltatore finisca per agire quale nudus minister privo dell'autonomia che normalmente gli compete (sentenze 23 marzo 1999, n. 2745, 20 aprile 2004, n. 7499, 2 marzo 2005, n. 4361, e 29 marzo 2007, n. 7755). E' stata poi riconosciuta una responsabilità del committente anche quando sia configurabile in capo al medesimo una culpa in eligendo, per aver affidato il lavoro ad un'impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. (sentenze 6 agosto 2004, n. 15185, e 27 maggio 2011, n. 11757, e 15 novembre 2013, n. 25758).
3.3. Nel caso specifico, la Corte romana ha ravvisato a carico del Condominio una culpa in eligendo, in relazione alla quale vale quanto si è detto in accoglimento del primo motivo; e una culpa in vigilando a carico dell' A., nella sua qualità di amministratore del Condominio e di direttore dei lavori.
Ora, la motivazione contenuta in sentenza circa la responsabilità dell' A. considera la sua duplice veste di amministratore e di direttore dei lavori. L'amministratore, però, non costituisce un'entità diversa dal condominio del quale è rappresentante, perchè il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica diversa da quella dei singoli condòmini (ordinanza 11 gennaio 2012, n. 177). Ciò significa che il condòmino che ritenga di essere stato danneggiato, come nella specie, da un'omessa vigilanza da parte del condominio nell'esecuzione di lavori sulle parti comuni non può considerare l'amministratore come un soggetto terzo ed estraneo; dovrà comunque rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti del condominio il quale, a sua volta, valuterà se esistono gli estremi di una rivalsa nei confronti dell'amministratore. Del resto, anche la sentenza 16 ottobre 2008, n. 25251, di questa Terza Sezione, che pure ha riconosciuto una sorta di responsabilità allargata in capo all'amministratore di condominio, ha tuttavia escluso che il potere di controllo sui beni comuni permanga quando l'appaltatore sia posto in condizioni di "esclusivo custode delle cose sulle quali si effettuano i lavori".
Nè può pervenirsi a differenti conclusioni in considerazione del ruolo di direttore dei lavori affidato all' A.. Il direttore dei lavori per conto del committente, infatti, presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della diligentia quam in concreto; rientrano pertanto nelle obbligazioni del direttore dei lavori l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonchè l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi (v. sentenze 20 luglio 2005, n. 15255, e 24 aprile 2008, n. 10728). Il direttore dei lavori, in sostanza, assume la specifica funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell'appaltatore, vigilando che l'esecuzione dei lavori abbia luogo in conformità a quanto stabilito nel capitolato di appalto. Da questo, tuttavia, non deriva a suo carico nè una responsabilità per cattiva esecuzione dei lavori imputabile alla libera iniziativa dell'appaltatore, nè un obbligo continuo di vigilanza anche in relazione a profili - tutto sommato marginali - come quello della copertura con teloni di plastica durante i lavori di scopertura e successiva ricostruzione del tetto. E' fuori discussione, del resto, che questa sia stata, nella realtà, l'esclusiva causa del danno lamentato dall'originario attore.
In altre parole, in assenza di un qualche indice che faccia supporre che l'appaltatore sia stato sottoposto dal committente a direttive così stringenti da sottrargli qualsiasi possibilità di autodeterminazione, in conformità alla giurisprudenza in tema di appalto sopra ricordata deve ribadirsi che l'appaltatore rimane esclusivo responsabile dell'esecuzione dei lavori, nonchè dei relativi danni conseguenti a negligenza nell'esecuzione. Nè, d'altra parte, la sentenza impugnata individua, a carico dell' A., un qualche comportamento in contrasto col principio del neminem laedere come enucleato dalla menzionata giurisprudenza.
Sicchè, in definitiva, vanno escluse la responsabilità sia del Condominio che dell'amministratore A., oggi ricorrenti.
3.4. Da tanto deriva l'accoglimento anche del terzo motivo di ricorso.
4. La società Athos pone un motivo di ricorso incidentale - peraltro definito appello incidentale - sostenendo che la sentenza avrebbe errato nel riconoscere la responsabilità anche del Condominio; e precisa di avere interesse all'impugnazione nella qualità di condòmino di Palazzo (OMISSIS).
4.1. La Corte osserva che il ricorso è inammissibile per evidente carenza di interesse; la società Athos, infatti, risulta completamente vincitrice in appello, poichè la sentenza impugnata ha riconosciuto che il committente dei lavori era il Condominio; nè l'accoglimento dei motivi del ricorso principale modifica alcunchè in ordine alla posizione del ricorrente incidentale.
5. In conclusione, sono accolti il primo ed il terzo motivo dei ricorsi del Condominio e dell' A., con assorbimento del secondo, mentre è dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata è cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, rigettando l'appello proposto dal D.N.R. limitatamente al Condominio ed all' A.; mentre la sentenza impugnata va confermata nel resto.
Le spese del giudizio di appello vanno compensate, in relazione ai rapporti tra gli eredi D.N.R., il Condominio e l' A.
Quanto al giudizio di cassazione, in considerazione della soccombenza, gli eredi D.N.R. vanno condannati al pagamento delle medesime nei confronti di ciascuno dei ricorrenti;
mentre vanno compensate le spese tra i ricorrenti, la s.p.a. Allianz e la s.r.l. Athos in liquidazione.
La liquidazione segue in conformità ai soli parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il primo ed il terzo motivo di entrambi i ricorsi, con assorbimento del secondo;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'appello proposto dal D.N.R. limitatamente al Condominio ed all' A.; conferma nel resto; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di appello tra appellante, Condominio e A.; condanna i controricorrenti D.N.R. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200 per ciascuno dei ricorrenti, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge; compensa le spese del giudizio di cassazione in relazione alla s.p.a. Allianz e alla s.r.l. Athos in liquidazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2014