giorgino
Membro Ordinario
- Amministratore di Condominio
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 25 febbraio – 30 aprile 2015, n. 8823
Presidente Bucciante – Relatore Scalisi
Svolgimento del processo
S.G., con atto di citazione del 20 giugno 2001, proprietario di una porzione immobiliare facente parte del Condominio di (omissis) conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, gli altri condòmini dello stabile, per sentire accertare e dichiarare l’invalidità della tabella C relativa alla ripartizione delle spese di ascensore, perché erroneamente formulata e compilata e per l’effetto sostituire la tabella inesatta con altra tabella millesimale maggiormente conforme alla legge al Regolamento di condominio, alla reale struttura dell’immobile e alle possibilità d’uso dell’ascensore da parte del ricorrente. Deduceva l’attore di essere proprietario di un’unità immobiliare posta al piano terra dello stabile e che ciò nonostante nella tabella millesimale C relativa alla ripartizione delle spese di gestione dell’ascensore il suo appartamento era stato considerato erroneamente come sito al primo piano ricevendo, pertanto, un’attribuzione millesimale eccedente rispetto a quella effettivamente dovuta.
Si costituivano alcuni condòmini convenuti i quali eccepivano che il criterio di ripartizione adottato risultava del tutto legittimo e corretto essendo quello della tabella C approvata dall’assemblea condominiale in base al quale la spesa avrebbe dovuto essere ripartita quanto al 40% in proporzione all’altezza del pino e quanto al 60% in proporzione ai millesimi di proprietà.
Specificavano, ulteriormente, i convenuti che al Dott. S. veniva attribuito un coefficiente pari all’1/12 del 40% della spesa in quanto la tabella C teneva conto anche del piano terrazzo privo di unità abitative, ma adibito a lavatoio e stenditoio e con un locale usato per le riunioni condominiali e per questo utilizzato uno o due volte l’anno.
Il Tribunale di Roma con sentenza 10733 del 2004 rigettava la domanda di S. e condannava lo stesso al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva appello S. per due motivi: per erroneità dei presupposti di fatto di diritto posti a fondamento della decisione, non avendo il Tribunale considerato che trattavasi di una palazzina di sette piani fuori terra di cui l’ultimo piano raggiungibile solo tramite una rampa di scale, perché privo di unità abitative e che, essendo il suo appartamento sito a piano terra dal quale l’ascensore inizia la corsa, andavano considerati ai fini del coefficiente di piano solo cinque pini con attribuzione di coefficiente zero per gli appartamenti del primo piano, che per la loro posizione non sono serviti dall’ascensore; b) per la violazione dell’art. 1124 cc, essendo stata attribuita ai proprietari dei singoli appartamenti una quota (60%) delle spese superiore alla metà.
Si costituivano alcuni condòmini (D.C., M., L.S., C. e M.) mentre altri sono rimati contumaci, chiedendo il rigetto del gravame perché infondato in fatto ed in diritto.
La Corte di appello di Roma con sentenza n. 1800 del 2009 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado. Secondo la Corte romana, anche gli appartamenti del primo piano erano serviti dall’ascensore per consentire di raggiungere l’ultimo piano di proprietà comune. Che, comunque, la ripartizione in misura difforme da quella prevista dall’art. 1124 cc, non è suscettibile di essere considerata un errore nella formazione delle tabelle millesimali, posto che, ai sensi dell’art. 69 disp. att. cc, queste riguardano solo i valori proporzionali di ciascun piano, di ciascuna porzione di piano, spettante in proprietà esclusiva ai singoli domini.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da S. con un ricorso affidato a tre motivi. I. , L.S. , C. e M. hanno resistito con controricorso, illustrato con memoria. Gli altri condòmini in questa fase non hanno svolto attività giudiziale.
Motivi della decisione
1.- S. lamenta:
a) con il primo motivo di ricorso, l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata sarebbe del tutto sprovvista di motivazione, idonea a sostenere il rigetto della domanda del Dott. S. posto che con l’affermazione secondo cui che in ordine alla prima censura appariva assorbente la considerazione che contrariamente all’opinione dell’appellante, anche gli appartamenti del primo piano avrebbero serviti dall’ascensore, la Corte distrettuale mostra di non aver bene compreso quale fosse la conformazione della palazzina ed, in particolare, non avrebbe inteso che il Dott. S. abita al piano terra dello stabile di cui si dice e non al primo piano. A sua volta, con l’affermazione “(…) per consentire di raggiungere l’ultimo piano di proprietà comune, correttamente contemplato ai fini della determinazione del coefficiente di piano, perché costituito dal terrazzo, locale assemblee, locali adibiti a fontane e stenditoi” mostra di non aver compreso che l’ultimo piano della palazzina il sesto non è servito dall’ascensore che si ferma al quinto piano ma solo da due rampe di scale in muratura. Piuttosto, la Corte distrettuale, sempre secondo il ricorrente, non chiarisce le ragioni per le quali andavano disattese le specifiche obiezioni formulate da S. con riferimento alla determinazione del coefficiente del piano. D’altra parte, posto che il coefficiente primario di ripartizione della spesa di ascensore sarebbe costituito dal numero dei piani serviti da detta apparecchiatura, la Corte distrettuale, avrebbe dovuto rilevare che nel caso di specie i piani sono cinque e, dunque, sommando tutti i piani sui quali andrebbe frazionata la spesa, secondo la seguente operazione matematica (0 + 1 + 2 + 3 + 4 + 5 = 15) si sarebbe dovuto giungere ad un coefficiente pari ad 1/15, mentre l’elaborato del tecnico pone al denominatore il differente valore di 21, come se la palazzina fosse composta da sei piani.
Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Suprema Corte se il Giudice di appello abbia adeguatamente motivato le ragioni di rigetto della domanda dell’appellante in rapporto alla specificità delle obiezioni sollevate dal dott. S. con riferimento all’erroneità della Tabella millesimale C, all’effettivo stato dei luoghi del Condominio di (omissis) all’impossibilità di raggiungere il piano terrazzo mediante l’impianto di elevazione automatica, che inizia la sua corsa dal piano dell’edificio in cui è ubicata l’abitazione del ricorrente.
b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc. Secondo il ricorrente, nonostante la ripartizione delle spese per gestione e manutenzione dell’ascensore indicata dalla tabella C non contrasterebbe con il combinato disposto di cui all’art. 1123 e 1124 cc, norme informate alla proporzionalità fra ripartizione delle spese e uso della cosa comune, che pure prevedono la possibilità di deroga da parte del regolamento condominiale, nel concreto creerebbe una disparità di trattamento tra i condòmini che usano in maniera differente il bene comune per la cui spesa sono chiamati a concorrere. In particolare, la ripartizione secondo la tabella C (40% in base all’altezza dei piani e 60% in base ai millesimi di proprietà) di cui si dice non avrebbe tenuto conto che i condòmini del piano terreno non utilizzano l’ascensore in quanto non necessario per raggiungere l’immobile di proprietà e, quindi, avrebbero dovuto essere esclusi quantomeno dalla quota di spesa riferita all’altezza del piano. Sarebbe evidente, eccepisce il ricorrente, come fermo restando l’obbligo del condòmino S. alla contribuzione per la quota di spesa di ascensore calcolata in ragione dei millesimi di proprietà, nella fattispecie il 60% della spesa totale, del tutto iniqua sarebbe la previsione regolamentare che pone attualmente a suo carico anche la quota di spesa riferita all’altezza della sua proprietà da terra, sia perché detta proprietà non avrebbe altezza da terra, sia perché anche l’uso potenziale che il dott. S. potrebbe fare dell’ascensore per raggiungere i beni comuni collocati al piano terrazze è strettamente limitato dalla conformazione della palazzina nella quale il piano terrazze sarebbe raggiungibile con l’ascensore fino al quinto piano per poi salire tramite due rampe di scale fino al sesto piano. Sicché per detto sporadico ed improbabile uso non apparirebbe equo far gravare sul condòmino S. anche la quota di contribuzione calcolato (40%) con riferimento all’altezza dal suolo della sua proprietà atteso che detta proprietà in quanto collocata al piano terra dista zero dal suolo piano inizio corsa dell’ascensore.
Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Suprema Corte se il criterio della misura dell’uso applicato al Condominio di Via (omissis) tramite la tabella C che considera quale livello pari ad 1 anziché pari a zero il piano terra (livello di partenza dell’ascensore) ove è ubicato l’immobile di proprietà del ricorrente sia legittimo, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1123 e 1124 cc, e se tenga conto del differente e minore potenziale uso che può fare dell’ascensore il ricorrente che abita a piano terra.
c).- Con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc. Secondo il ricorrente la Corte distrettuale avrebbe disatteso l’applicazione di quanto disposto dall’art. 1124 cc. che prevede la ripartizione della spesa condominiale in proporzione dei millesimi di proprietà, ma il godimento differenziato che ciascun condòmino può avere del bene suddetto non appare agevolmente misurabile in funzione della distanza della proprietà individuale dal suolo o, comunque, dal punto di partenza dell’ascensore. Piuttosto, il proprietario di unità immobiliari sito al piano terreno è tenuto a concorrere nelle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale e/o degli ascensori limitatamente a quella parte di oneri che vien ripartita ai sensi dell’art. 1124 cc, in ragione del valore del piano e della porzione di piano, mentre non è, invece, tenuto a contribuire per quella parte di spesa ripartita in base alla medesima norma, in misura proporzionale alla distanza dei piani dal suolo. La Corte distrettuale non avrebbe, sempre secondo il ricorrente, applicato neppur la norma di cui all’art. 69 disp. att. cc, che giustifica la revisione delle tabelle millesimali ove vi sia obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esso attribuito nelle tabelle. Per altro, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che la tabella C fosse stata dallo stesso approvata in ragione della lettera del 24 aprile 1985 diretta al Presidente della cooperativa con la quale lo stesso dichiarava di approvare aprioristicamente le risultanze dell’Assemblea, posto che quella lettera veniva inviata solo al fine di non paralizzare l’esercizio di funzioni deliberanti della suddetta adunanza.
Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Suprema Corte se sia legittima la tabella C (ripartizione spese ascensore) vigente nel condominio di (omissis) sebbene preveda in contrasto con quanto disposto dall’art. 1124 cc, che la ripartizione della spesa avvenga per il 40% in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo e per il 60% in proporzione dei millesimi di proprietà e se conseguentemente, sia suscettibile di revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. cc..
1.1.- La Corte rileva la fondatezza delle dette censure che, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione e di motivazione, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte – o direttamente o indirettamente per gli effetti riflessi e conseguenti – la questione (sia pure sotto profili diversi) di accertare se, nell’ipotesi, la ripartizione delle spese, così come riportate dalla tabella C e relative all’ascensore condominiale fossero rispondenti alla normativa vigente. Come è stato affermato da questa Corte, in più occasioni (cfr. Cass. 2833/1999, ma, vedi, anche, Cass. 27233/2013): in tema di condominio di edifici, la regola posta dall’art. 1124 cod. civ. relativa alla ripartizione tra i condòmini delle spese di ricostruzione (oltre che di manutenzione) delle scale è applicabile per analogia, ricorrendo identica “ratio”, alle spese relative alla ricostruzione (e manutenzione) dell’ascensore già esistente. Con l’ulteriore specificazione che la disciplina legislativa in “subiecta materia” (artt. 1123 – 1125 cod. civ.) è, suscettibile di deroga mediante un accordo unanime di tutti i condòmini, avente valore negoziale.
Ora, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha, sostanzialmente, disatteso i principi suddetti non avendo chiarito – e lo avrebbe dovuto, se tutti i condòmini all’unanimità avevano concordato una deroga al criterio legale di riparazione delle spese condominiali relative alla manutenzione dell’ascensore. La Corte distrettuale si è limitata ad affermare che “(…) la ripartizione in misura difforme da quella prevista dall’art. 1124 cc. risulta essere stata approvata anche dall’appellante (…), ma non indica se fosse stata approvata all’unanimità dei condòmini e con quale delibera condominiale, tanto più che esiste specifica contestazione dell’attuale ricorrente di non aver approvato le delibere aventi ad oggetto la deroga al criterio legale di ripartizione delle spese condominiali, di cui si dice. Epperò, il suddetto accordo unanime occorreva, in quanto non è conforme al disposto dell’art. 1224 cc. né la suddivisione al 40/60% (anziché’ al 50/50%) della spesa secondo i valori e le altezze, né l’inclusione della proprietà individuale al piano terra nel riparto secondo l’altezza dato che il ricorrente è bensì servito dall’ascensore, non però per il suo appartamento, ma per i locali condominiali al sesto piano, che possono essere raggiunti in ascensore fino al quinto piano; ed è in questo presupposto che la sua partecipazione alla spesa avrebbe dovuto essere calcolata. In definitiva il ricorso va accolto, la sentenza impugnata cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Roma la quale, giusta la norma di cui all’art. 385 cpc, provvederà al regolamento delle spese anche del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Roma anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.
Presidente Bucciante – Relatore Scalisi
Svolgimento del processo
S.G., con atto di citazione del 20 giugno 2001, proprietario di una porzione immobiliare facente parte del Condominio di (omissis) conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, gli altri condòmini dello stabile, per sentire accertare e dichiarare l’invalidità della tabella C relativa alla ripartizione delle spese di ascensore, perché erroneamente formulata e compilata e per l’effetto sostituire la tabella inesatta con altra tabella millesimale maggiormente conforme alla legge al Regolamento di condominio, alla reale struttura dell’immobile e alle possibilità d’uso dell’ascensore da parte del ricorrente. Deduceva l’attore di essere proprietario di un’unità immobiliare posta al piano terra dello stabile e che ciò nonostante nella tabella millesimale C relativa alla ripartizione delle spese di gestione dell’ascensore il suo appartamento era stato considerato erroneamente come sito al primo piano ricevendo, pertanto, un’attribuzione millesimale eccedente rispetto a quella effettivamente dovuta.
Si costituivano alcuni condòmini convenuti i quali eccepivano che il criterio di ripartizione adottato risultava del tutto legittimo e corretto essendo quello della tabella C approvata dall’assemblea condominiale in base al quale la spesa avrebbe dovuto essere ripartita quanto al 40% in proporzione all’altezza del pino e quanto al 60% in proporzione ai millesimi di proprietà.
Specificavano, ulteriormente, i convenuti che al Dott. S. veniva attribuito un coefficiente pari all’1/12 del 40% della spesa in quanto la tabella C teneva conto anche del piano terrazzo privo di unità abitative, ma adibito a lavatoio e stenditoio e con un locale usato per le riunioni condominiali e per questo utilizzato uno o due volte l’anno.
Il Tribunale di Roma con sentenza 10733 del 2004 rigettava la domanda di S. e condannava lo stesso al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva appello S. per due motivi: per erroneità dei presupposti di fatto di diritto posti a fondamento della decisione, non avendo il Tribunale considerato che trattavasi di una palazzina di sette piani fuori terra di cui l’ultimo piano raggiungibile solo tramite una rampa di scale, perché privo di unità abitative e che, essendo il suo appartamento sito a piano terra dal quale l’ascensore inizia la corsa, andavano considerati ai fini del coefficiente di piano solo cinque pini con attribuzione di coefficiente zero per gli appartamenti del primo piano, che per la loro posizione non sono serviti dall’ascensore; b) per la violazione dell’art. 1124 cc, essendo stata attribuita ai proprietari dei singoli appartamenti una quota (60%) delle spese superiore alla metà.
Si costituivano alcuni condòmini (D.C., M., L.S., C. e M.) mentre altri sono rimati contumaci, chiedendo il rigetto del gravame perché infondato in fatto ed in diritto.
La Corte di appello di Roma con sentenza n. 1800 del 2009 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado. Secondo la Corte romana, anche gli appartamenti del primo piano erano serviti dall’ascensore per consentire di raggiungere l’ultimo piano di proprietà comune. Che, comunque, la ripartizione in misura difforme da quella prevista dall’art. 1124 cc, non è suscettibile di essere considerata un errore nella formazione delle tabelle millesimali, posto che, ai sensi dell’art. 69 disp. att. cc, queste riguardano solo i valori proporzionali di ciascun piano, di ciascuna porzione di piano, spettante in proprietà esclusiva ai singoli domini.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da S. con un ricorso affidato a tre motivi. I. , L.S. , C. e M. hanno resistito con controricorso, illustrato con memoria. Gli altri condòmini in questa fase non hanno svolto attività giudiziale.
Motivi della decisione
1.- S. lamenta:
a) con il primo motivo di ricorso, l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata sarebbe del tutto sprovvista di motivazione, idonea a sostenere il rigetto della domanda del Dott. S. posto che con l’affermazione secondo cui che in ordine alla prima censura appariva assorbente la considerazione che contrariamente all’opinione dell’appellante, anche gli appartamenti del primo piano avrebbero serviti dall’ascensore, la Corte distrettuale mostra di non aver bene compreso quale fosse la conformazione della palazzina ed, in particolare, non avrebbe inteso che il Dott. S. abita al piano terra dello stabile di cui si dice e non al primo piano. A sua volta, con l’affermazione “(…) per consentire di raggiungere l’ultimo piano di proprietà comune, correttamente contemplato ai fini della determinazione del coefficiente di piano, perché costituito dal terrazzo, locale assemblee, locali adibiti a fontane e stenditoi” mostra di non aver compreso che l’ultimo piano della palazzina il sesto non è servito dall’ascensore che si ferma al quinto piano ma solo da due rampe di scale in muratura. Piuttosto, la Corte distrettuale, sempre secondo il ricorrente, non chiarisce le ragioni per le quali andavano disattese le specifiche obiezioni formulate da S. con riferimento alla determinazione del coefficiente del piano. D’altra parte, posto che il coefficiente primario di ripartizione della spesa di ascensore sarebbe costituito dal numero dei piani serviti da detta apparecchiatura, la Corte distrettuale, avrebbe dovuto rilevare che nel caso di specie i piani sono cinque e, dunque, sommando tutti i piani sui quali andrebbe frazionata la spesa, secondo la seguente operazione matematica (0 + 1 + 2 + 3 + 4 + 5 = 15) si sarebbe dovuto giungere ad un coefficiente pari ad 1/15, mentre l’elaborato del tecnico pone al denominatore il differente valore di 21, come se la palazzina fosse composta da sei piani.
Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Suprema Corte se il Giudice di appello abbia adeguatamente motivato le ragioni di rigetto della domanda dell’appellante in rapporto alla specificità delle obiezioni sollevate dal dott. S. con riferimento all’erroneità della Tabella millesimale C, all’effettivo stato dei luoghi del Condominio di (omissis) all’impossibilità di raggiungere il piano terrazzo mediante l’impianto di elevazione automatica, che inizia la sua corsa dal piano dell’edificio in cui è ubicata l’abitazione del ricorrente.
b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc. Secondo il ricorrente, nonostante la ripartizione delle spese per gestione e manutenzione dell’ascensore indicata dalla tabella C non contrasterebbe con il combinato disposto di cui all’art. 1123 e 1124 cc, norme informate alla proporzionalità fra ripartizione delle spese e uso della cosa comune, che pure prevedono la possibilità di deroga da parte del regolamento condominiale, nel concreto creerebbe una disparità di trattamento tra i condòmini che usano in maniera differente il bene comune per la cui spesa sono chiamati a concorrere. In particolare, la ripartizione secondo la tabella C (40% in base all’altezza dei piani e 60% in base ai millesimi di proprietà) di cui si dice non avrebbe tenuto conto che i condòmini del piano terreno non utilizzano l’ascensore in quanto non necessario per raggiungere l’immobile di proprietà e, quindi, avrebbero dovuto essere esclusi quantomeno dalla quota di spesa riferita all’altezza del piano. Sarebbe evidente, eccepisce il ricorrente, come fermo restando l’obbligo del condòmino S. alla contribuzione per la quota di spesa di ascensore calcolata in ragione dei millesimi di proprietà, nella fattispecie il 60% della spesa totale, del tutto iniqua sarebbe la previsione regolamentare che pone attualmente a suo carico anche la quota di spesa riferita all’altezza della sua proprietà da terra, sia perché detta proprietà non avrebbe altezza da terra, sia perché anche l’uso potenziale che il dott. S. potrebbe fare dell’ascensore per raggiungere i beni comuni collocati al piano terrazze è strettamente limitato dalla conformazione della palazzina nella quale il piano terrazze sarebbe raggiungibile con l’ascensore fino al quinto piano per poi salire tramite due rampe di scale fino al sesto piano. Sicché per detto sporadico ed improbabile uso non apparirebbe equo far gravare sul condòmino S. anche la quota di contribuzione calcolato (40%) con riferimento all’altezza dal suolo della sua proprietà atteso che detta proprietà in quanto collocata al piano terra dista zero dal suolo piano inizio corsa dell’ascensore.
Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Suprema Corte se il criterio della misura dell’uso applicato al Condominio di Via (omissis) tramite la tabella C che considera quale livello pari ad 1 anziché pari a zero il piano terra (livello di partenza dell’ascensore) ove è ubicato l’immobile di proprietà del ricorrente sia legittimo, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1123 e 1124 cc, e se tenga conto del differente e minore potenziale uso che può fare dell’ascensore il ricorrente che abita a piano terra.
c).- Con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc. Secondo il ricorrente la Corte distrettuale avrebbe disatteso l’applicazione di quanto disposto dall’art. 1124 cc. che prevede la ripartizione della spesa condominiale in proporzione dei millesimi di proprietà, ma il godimento differenziato che ciascun condòmino può avere del bene suddetto non appare agevolmente misurabile in funzione della distanza della proprietà individuale dal suolo o, comunque, dal punto di partenza dell’ascensore. Piuttosto, il proprietario di unità immobiliari sito al piano terreno è tenuto a concorrere nelle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale e/o degli ascensori limitatamente a quella parte di oneri che vien ripartita ai sensi dell’art. 1124 cc, in ragione del valore del piano e della porzione di piano, mentre non è, invece, tenuto a contribuire per quella parte di spesa ripartita in base alla medesima norma, in misura proporzionale alla distanza dei piani dal suolo. La Corte distrettuale non avrebbe, sempre secondo il ricorrente, applicato neppur la norma di cui all’art. 69 disp. att. cc, che giustifica la revisione delle tabelle millesimali ove vi sia obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esso attribuito nelle tabelle. Per altro, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che la tabella C fosse stata dallo stesso approvata in ragione della lettera del 24 aprile 1985 diretta al Presidente della cooperativa con la quale lo stesso dichiarava di approvare aprioristicamente le risultanze dell’Assemblea, posto che quella lettera veniva inviata solo al fine di non paralizzare l’esercizio di funzioni deliberanti della suddetta adunanza.
Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Suprema Corte se sia legittima la tabella C (ripartizione spese ascensore) vigente nel condominio di (omissis) sebbene preveda in contrasto con quanto disposto dall’art. 1124 cc, che la ripartizione della spesa avvenga per il 40% in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo e per il 60% in proporzione dei millesimi di proprietà e se conseguentemente, sia suscettibile di revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. cc..
1.1.- La Corte rileva la fondatezza delle dette censure che, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione e di motivazione, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte – o direttamente o indirettamente per gli effetti riflessi e conseguenti – la questione (sia pure sotto profili diversi) di accertare se, nell’ipotesi, la ripartizione delle spese, così come riportate dalla tabella C e relative all’ascensore condominiale fossero rispondenti alla normativa vigente. Come è stato affermato da questa Corte, in più occasioni (cfr. Cass. 2833/1999, ma, vedi, anche, Cass. 27233/2013): in tema di condominio di edifici, la regola posta dall’art. 1124 cod. civ. relativa alla ripartizione tra i condòmini delle spese di ricostruzione (oltre che di manutenzione) delle scale è applicabile per analogia, ricorrendo identica “ratio”, alle spese relative alla ricostruzione (e manutenzione) dell’ascensore già esistente. Con l’ulteriore specificazione che la disciplina legislativa in “subiecta materia” (artt. 1123 – 1125 cod. civ.) è, suscettibile di deroga mediante un accordo unanime di tutti i condòmini, avente valore negoziale.
Ora, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha, sostanzialmente, disatteso i principi suddetti non avendo chiarito – e lo avrebbe dovuto, se tutti i condòmini all’unanimità avevano concordato una deroga al criterio legale di riparazione delle spese condominiali relative alla manutenzione dell’ascensore. La Corte distrettuale si è limitata ad affermare che “(…) la ripartizione in misura difforme da quella prevista dall’art. 1124 cc. risulta essere stata approvata anche dall’appellante (…), ma non indica se fosse stata approvata all’unanimità dei condòmini e con quale delibera condominiale, tanto più che esiste specifica contestazione dell’attuale ricorrente di non aver approvato le delibere aventi ad oggetto la deroga al criterio legale di ripartizione delle spese condominiali, di cui si dice. Epperò, il suddetto accordo unanime occorreva, in quanto non è conforme al disposto dell’art. 1224 cc. né la suddivisione al 40/60% (anziché’ al 50/50%) della spesa secondo i valori e le altezze, né l’inclusione della proprietà individuale al piano terra nel riparto secondo l’altezza dato che il ricorrente è bensì servito dall’ascensore, non però per il suo appartamento, ma per i locali condominiali al sesto piano, che possono essere raggiunti in ascensore fino al quinto piano; ed è in questo presupposto che la sua partecipazione alla spesa avrebbe dovuto essere calcolata. In definitiva il ricorso va accolto, la sentenza impugnata cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Roma la quale, giusta la norma di cui all’art. 385 cpc, provvederà al regolamento delle spese anche del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Roma anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.